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Archivio mensile:settembre 2014

SUVVIA…! CHE VUOI CHE SIA… Il Galateo della disabilità 101

SUVVIA…! CHE VUOI CHE SIA… Il Galateo della disabilità 101

Autore: Eleonora Campus

In Italia spesso si “banalizzano” alcuni comportamenti scorretti che vengono tenuti verso le persone con disabilità. Perciò ad ogni comportamento che non rispetta la dignità della persona, sia da parte di chi lo attua che da parte di chi ne viene a conoscenza – spesso si accompagna la frase “suvvia…! Che vuoi che sia…” a volte in modo esplicito….altre volte in modo tacito. Partiamo da un fatto: la dignità e’ un diritto umano fondamentale……. e allora sorgono queste domande:
• siamo sicuri che l’uguaglianza non passi e si raggiunga anche attraverso i comportamenti? …..
• un atteggiamento che banalizza un “galateo comportamentale”, può essere anch’esso la causa di una impossibile uguaglianza se non si affronta dandogli la dovuta “obbligatorietà” (intesa nel senso di comportamenti accettati e fatti propri dalla comunità)?
Per rispondere a queste domande occorre farne altre:
• quale è un comportamento corretto…?
• un simile galateo, è un sogno di qualche visionario “esagerato” o esiste già?

Risposta: un comportamento corretto è quello “etico”, da non confondere con l’idea di eventuali regole intransigenti di moralisti estremisti. Il comportamento “etico” è quello che rispetta la persona in quanto tale e non la riduce a un oggetto passivo (anziché considerarla soggetto attivo nella vita quotidiana), e neppure   la riduce a oggetto di scherno o insulto basandosi sulla sua condizione di disabilità.
Un atteggiamento che banalizza “i germi” della violazione della dignità della persona, non può che portare all’impossibilità del raggiungimento dell’uguaglianza effettiva. I comportamenti scorretti – provenienti dal passato e da un cattivo bagaglio culturale sui diritti umani – perciò si alimentano sempre più e si ripetono costantemente  nel tempo. Anche le politiche nei confronti delle persone disabili ne risentono in maniera negativa in quanto influenzate dal pregiudizio. E’ infatti accaduto (almeno in Italia) che personaggi che dovrebbero rappresentare tutti,  hanno utilizzato la disabilità per etichettare e insultare avversari politici. Eppure un Galateo dei “comportamenti virtuosi” riferito alla disabilità esiste…..in inglese si chiama “DISABILITY ETIQUETTE 101”. Tradotto: “etichetta della disabilità 101”. Seppure all’estero questo Galateo non è certo una norma di legge, perlomeno se ne parla e ci sono iniziative di persone disabili che portano avanti la sua diffusione allo scopo di farlo conoscere e – prima o poi – dargli “obbligatorietà”. Di seguito illustrerò il Galateo della disabilità 101 , anticipando che l’ho tradotto e ridotto alle parti essenziali, semplificandolo il più possibile e permettendomi un paio di aggiunte personali dove mi sembrava carente. Anche se è solo un accenno, potrebbe contribuire ad ampliare l’orizzonte “etico” e dare spazio all’idea che una nuova cultura della disabilità è possibile tenendo conto anche dei “comportamenti” virtuosi da usare nella vita quotidiana gli uni verso gli altri.

“DISABILITY ETIQUETTE 101”: il galateo della disabilità

Come comportarsi con una persona con disabilità?
Una domanda simile certamente non si può ridurre ad un elenco, ma perlomeno si può dare un’idea (in linea di massima) degli atteggiamenti di pregiudizio che spesso (volontariamente o inconsapevolmente) si attuano nei confronti delle persone disabili e di come si potrebbe agire per evitarli. E perciò:

1. Parlate di una persona con disabilità facendo prima riferimento alla persona e poi alla condizione di disabilità: “persona con disabilità” (come da Convenzione ONU) e NON “il disabile”. 

2. Quando si parla con una persona con disabilità, dovete parlare direttamente a quella persona e non a un eventuale accompagnatore presente.

3. Quando incontrate una persona con una disabilità visiva, bisogna sempre che facciate riconoscere voi stessi e gli altri che possono essere insieme a voi.

4. Per avere l’attenzione di una persona che è sorda o con problemi di udito, toccate la persona sulla spalla o fate un gesto con la mano. Guardate direttamente la persona e parlate chiaramente.

5. Va bene e non sentitevi in imbarazzo se vi capita di usare modi di dire comuni e accettati che sembrano far riferimento alla disabilità della persona (Esempio: “ci vediamo più tardi…..” o “hai sentito questa notizia…?”).

6. Quando si è presentati ad una persona con disabilità, è consigliabile offrire di stringergli la mano. Molte persone che hanno un uso limitato delle mani o che hanno un arto artificiale possono stringere la mano. Anche stringere la mano con la mano sinistra è un saluto accettabile. Se la persona disabile non può sollevare le mani, con un gesto poggiate un momento la vostra mano sulla sua.

7. Se offrite aiuto, aspettate che l’offerta venga accettata. In seguito ascoltate o chiedete istruzioni

8. Trattate gli adulti come adulti. Evitate di dare pacche sulla testa o sulle spalle per incoraggiare. Rivolgetevi alle persone disabili dando del tu e usando i loro nomi SOLO quando quella stessa familiarità la usate anche per tutti gli altri presenti. Al punto 8 aggiungo un aspetto spesso sottovalutato perché interessa una minoranza di persone disabili: anche in ambito professionale, in presenza di persone esterne, rivolgetevi alle persone disabili dando del tu e usando i loro nomi SOLO quando quella stessa familiarità la usate anche per tutti gli altri presenti. Non solo: , rivolgetevi alle persone disabili usando il titolo di “Dottore” (o comunque qualifiche)  laddove la persona lo abbia conseguito, quando la stessa forma è usata anche per tutti gli altri presenti. Ciò anche quando la presentazione può risultare indigesta nel caso siano proprio gli altri presenti a non avere alcun titolo. Un atteggiamento volutamente eludente tale forma, rappresenterebbe una riduzione della persona con disabilità e un grave atto di pregiudizio che partirebbe dal presupposto di una cosiddetta “superiorità normo” auto-arrogata (a prescindere).

9. Ascoltate attentamente quando si sta parlando con una persona che ha difficoltà a parlare. Aspettate che la persona finisca, invece che correggere o parlare per quella persona. Se serve, fate brevi domande che richiedono risposte brevi, un gesto o un movimento della testa. Mai fingere di capire se si hanno difficoltà a farlo. Invece, ripetete ciò che si è capito e permettete alla persona di rispondere. La risposta sarà una indicazione per capire.

10. Aggiungo un altro punto: non usate la condizione di disabilità per insultare e schernire il prossimo. Usare a scopo dispregiativo le caratteristiche umane di alcuni, lede la dignità di quanti le possiedono e genera sottocultura e conseguente discriminazione.

I passi verso l’uguaglianza effettiva: il pericolo della banalizzazione e il senso dell’offesa

I punti elencati nel Galateo sono spesso punti dolenti, costantemente ignorati e – come precedentemente detto – considerati banali. Tuttavia lo stesso non avviene per altre categorie discriminate per le quali c’è più riguardo e un “senso” comune dell’offesa, nonché conseguenze di clamore mediatico. Così come il rispetto ed i diritti, anche la dignità è un diritto fondamentale di “tutti “. Anzi, la dignità, il rispetto e i diritti sono legati in modo indissolubile. Se si vuole raggiungere l’uguaglianza effettiva occorre ricordare che questa passa anche attraverso “l’etica” del rapportarsi in maniera corretta e non lesiva dell’onore altrui. Però anche da parte delle persone con disabilità occorre reagire perché troppo spesso a loro volta subiscono, o loro stesse si auto convincono della banalità di certi comportamenti, ricordando l’etica solo su alcune cose e facendo eccezione su quella proposta dal “galateo”. Certamente anche le persone con disabilità devono poi avere la capacità di riconoscere – e non porsi in modo intransigente – modi di dire comunemente accettati (vedere al punto 5 del Galateo).
Rileggiamo dunque i diritti fondamentali anche alla luce di comportamenti virtuosi, che rispettano l’onore del prossimo e perciò degni di una società civile. Chissà, magari il piccolo accenno di questo scritto, potrebbe essere lo spunto per portare avanti anche in Italia questa battaglia culturale creando, ampliando, diffondendo e rendendo nel tempo “obbligatorio” – nel senso di comunemente acquisito e accettato – un “Galateo 101”. Il cammino verso l’uguaglianza potrebbe così fare un piccolo passo avanti. Aristotele diceva che la virtù è come un muscolo, si deve esercitare per poterla acquisire. Perciò dei comportamenti giusti porteranno ad essere persone giuste, Anche se può far sorridere e non è così semplice, si può sperare almeno di seminare qualcosa ed un minimo educare i più  ai diritti umani, ricordando  che questi diritti abbracciano tanti aspetti della persona umana.

Eleonora Campus

 
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Pubblicato da su 27 settembre 2014 in Discriminazione e Uguaglianza

 

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Disabilità: l’inizio dello scontro fratricida tra sentimenti, urgenza e diritti elemosinati

Disabilità: l’inizio dello scontro fratricida tra sentimenti, urgenza  e diritti elemosinati

Autore: Eleonora Campus

La disabilità è un mondo fatto di tante persone differenti con esigenze diverse e non una immagine o una condizione a tipologia unica.
In generale la vita che ognuno di noi più desidera vivere si chiama “vita buona”. E se vogliamo una giustizia, non è banale pensare agli obiettivi che vogliamo raggiungere e al significato che diamo alla vita che viviamo e che condividiamo con gli altri.

In particolare, “la vita buona” è alla base della Convezione ONU delle persone con disabilità.  La “vita buona” di ognuno la deve garantire il decisore pubblico, anche se capire quale sia la cosa giusta da fare non è sempre semplice.

I diritti, la dignità e il rispetto

Il punto di partenza della politica devono essere sempre i diritti umani e cioè quelli che vanno “rispettati” e garantiti a tutti solo perché sono essere umani.
Il “rispetto” per i diritti e per la dignità di tutte le persone è una cosa diversa da qualsiasi sentimento che proviamo (amore, comprensione, solidarietà, senso della vicinanza) e che ci avvicina – ciascuno – ad alcuni piuttosto che ad altri. Nonostante gli sforzi affinché la legge sia imparziale, se non si riparte proprio dai diritti umani e non si ragiona al tempo stesso sulla vita buona forse non è possibile dire cosa è giusto.
Anzi, l’imparzialità della legge in alcuni – addirittura – potrebbe suscitare reazioni negative e risentimenti perché penserebbero di essere privati di un diritto più urgente di altri. Allo stesso tempo, tutti gli altri riterrebbero di essere discriminati da una legge non imparziale. Si sentirebbero perciò disgustati, offesi, provocati e si contrapporrebbero.
Se la politica avrà paura di affrontare il discorso della “vita buona” insieme ai diritti di “tutti” (quelli umani per primi), fallirà rovinosamente perché nasceranno – e favorirà – scontri sociali e posizioni irremovibili da parte di gruppi specifici o singoli cittadini.
Quindi l’obbligo più alto di “garanzia” verso “tutti” lo ha proprio la politica. Vediamo perché.

Ognuno di noi quanto è obbligato verso “tutti” gli altri esseri umani nella vita di tutti i giorni? E quanto possiamo staccarci dai nostri sentimenti?

I sentimenti di solidarietà o appartenenza a un gruppo possono farci sentire obbligati verso alcuni perché ci condividiamo la nostra vita e la nostra storia. Sono obblighi che non ”scegliamo”solo con la ragione ma che sono legati anche a quello che sentiamo e per cui insieme ad alcuni combattiamo e soffriamo. Ciò accade nonostante ci possa sembrare ripugnante verso tutti gli altri. La lealtà verso i “nostri” piuttosto che verso altri non è uno scherzo: può avere la precedenza su qualsiasi dovere generale. Gli obblighi di solidarietà, quindi, sono particolari e non richiedono per forza l’approvazione degli altri. Non sono sbagliati in se. Lo diventano solo se vanno a ledere i diritti umani delle altre persone e laddove la politica non ha la capacità di ascoltare tutte le richieste dei cittadini.
Di chi è il dovere universale di garanzia verso tutti?
La politica ha l’obbligo più alto: deve tutelare l’interesse e il benessere di ognuno. Anche questo obbligo universale non richiede l’approvazione delle persone (proprio come gli obblighi che sentiamo come singoli verso “i nostri”) ma c’è una responsabilità maggiore, che deve abbracciare ogni rivendicazione. Questo perché le esigenze imposte dall’appartenenza a una comunità o a un gruppo possono scontrarsi con quelle imposte dall’uguaglianza.

La partecipazione a circuito ristretto

In un altro articolo ho scritto che ci sono due tipi di cittadini: quelli singoli che non fanno parte di nessun gruppo (la cui voce è debole) e quelli che si uniscono in gruppi (la cui voce è forte). Nei gruppi più grandi poi, possono nascere anche figure considerate accreditate a parlare per tutti. Dei “professionisti” di questa o quella categoria (vedi qui: La fila nella Vita Indipendente e l’esigibilità del diritto. Politica ed etica).  Lo strumento che la politica usa per prendere le decisioni è la “partecipazione” dei cittadini. Ma di fatto è uno strumento imperfetto perché partecipano solo i gruppi di pressione o i cosiddetti “professionisti” che nascono in quelli più grandi. Si tratta di mediatori privati che non hanno la rappresentanza di tutti ma specifici interessi. Il cittadino singolo quindi, rispetto al suo interesse, non è tutelato ne ascoltato. Chi non fa parte di gruppi è escluso e abbandonato.

Quale soluzione?

Il decisore pubblico non deve abbandonare i cittadini singoli ma deve vigilare e tutelarli non delegando completamente il suo ruolo ai gruppi di pressione o ai cosiddetti “professionisti” di quelli più forti. Lo Stato non può farsi sostituire dai privati ma deve partire dall’etica della qualità della vita di ogni cittadino staccandosi (eventualmente) da ogni posizione di conflitto di interesse che potrebbe collegarlo a qualsivoglia gruppo.
Questo potrà avvenire solo partendo dai diritti, dalla dignità e dal rispetto andando di pari passo ad una partecipazione allargata (e non ristretta a gruppi specifici) a tutte le voci. Bisognerà perciò aprire alla “vita buona” di ognuno. Gli strumenti per ascoltare più voci ci sono (anche attraverso le nuove tecnologie); i diritti e le leggi poi – per quanto da migliorare – parlano e vanno applicati verso tutti.
Ignorare che esistono tantissime realtà diverse, non aprire la porta a tutti i cittadini, pensare che si possa risolvere tutto con una imparzialità studiata a un tavolo ristretto, favorirà solo lo scontro sociale.
La responsabilità di non aver saputo mantenere la pace sociale se non si partirà dai diritti, dalla dignità e dal rispetto collegandoli alla vita buona di ognuno, sarà solo della politica se non avrà la capacità di guardare oltre. E il dovere generale della politica non deve essere arbitrario o mettere le persone a fare i conti con i sentimenti di lealtà verso i “propri”, annaspando per avere un diritto tipo “premio della lotteria” a cui ambire. Allo stesso tempo “gli altri”, non devono essere messi in condizione di abbandono o sentirsi defraudati dei diritti, ritenendo che per loro neanche è prevista la possibilità di un “premio della lotteria” in cui sperare. A ognuno il suo: i diritti non sono ne una concessione ne un “premio della lotteria”. E nemmeno un’ unica ricetta. Aprite la porta a tutti i cittadini e alle diverse esigenze. Aprite la porta alla pace sociale.

Eleonora Campus

 
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Pubblicato da su 1 settembre 2014 in Disabilità: politica ed etica

 

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